Le pietre del Monte San Giorgio hanno segnato la realtà locale, a partire almeno dal XV secolo, contribuendo alla fioritura artistica ed economica della regione.
Le miniere, aperte per l’estrazione di strati di roccia laminati e molto scuri, detti scisti bituminosi, propongono un interessante capitolo di storia del territorio.
Questi strati di roccia, ricchi di sostanze organiche, sono stati sfruttati in un primo tempo (1774-1790) per l’estrazione di combustibile e in seguito, attorno al 1830, per la produzione di gas destinato all’illuminazione della città di Milano.
A partire dal 1902 dalle rocce bituminose venne estratto un unguento dalle proprietà antisettiche, utile per curare malattie della pelle: il Saurolo.
Per l'estrazione dello scisto bituminoso vennero scavate numerose miniere sia in territorio italiano che Svizzero.
Le rocce venivano quindi trasportate nella fabbrica di Spinirolo, a Meride, o nella fabbrica di Besano dove, seguendo un procedimento brevettato, si estraeva l’olio greggio.
Questo, trattato con acido solforico e ammoniaca, dava origine al Saurolo.
La scoperta della sintesi chimica del prodotto impose la chiusura degli stabilimenti nel 1952.
A Spinirolo svetta tutt’ora la ciminiera della fabbrica di un tempo, a testimonianza della storia dello sfruttamento minerario sul Monte San Giorgio.
I lavori di estrazione degli scisti bituminosi sono stati determinanti per la scoperta dell’esistenza di resti fossili fra le rocce del Monte San Giorgio.
Il rinvenimento casuale dei fossili divenne in poco tempo il punto di partenza per una raccolta sistematica, base della ricerca scientifica.
Nel 1863 il Museo Civico di Storia Naturale di Milano iniziò i primi scavi paleontologici nella regione di Besano, in territorio italiano.
Nel 1919 il paleontologo e zoologo B. Peyer, sul lato svizzero del monte nei pressi di Meride, s'interessò per la prima volta di questi ritrovamenti. Si sono susseguite numerose campagne di scavo, sia sul territorio svizzero che su quello italiano, che hanno permesso di creare un quadro sempre più completo.
La straordinaria varietà delle rocce del Monte San Giorgio, estratte dalle cave di Arzo, Saltrio e Viggiù ha fornito inoltre una materia prima di eccezionale valore. Le chiese e l’edilizia civile della regione testimoniano lo sfruttamento, fin dal XV secolo, delle pietre ornamentali presenti sul territorio e raccontano storie, ormai passate, di scalpellini e di architetti che hanno esportato la loro arte anche al di fuori della realtà locale.
La Macchia Vecchia, il Broccatello, il Rosso Venato, il Rosso d’Arzo, la Pietra di Saltrio, la Pietra di Viggiù sono stati utilizzati infatti per importanti opere architettoniche in tutta Italia e in diverse località europee.
Su tutto il territorio del Monte San Giorgio si trovano inoltre varie cave di calcare per la produzione della calce in apposite fornaci talvolta ancora esistenti. Sul Monte sono inoltre stati estratti gesso, argilla, tufo calcareo, selce e torba per diversi utilizzi industriali.
Nel corso dei secoli sono nate strutture industriali legate allo sfruttamento della pietra e all’utilizzo dell’acqua del fiume Gaggiolo/Lanza come mulini per segare la pietra, filande, opifici, segherie.
Durante la fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento sono state attive diverse miniere sia in territorio svizzero (Serpiano sopra Brusino Arsizio) che in quello italiano (Filoni Anselmo e Carlotta sul Monte Grumello). I minerali sfruttati erano galena, per la produzione del piombo e in misura minore dell’argento, barite e fluorite, quest’ultima destinata all’industria dell’alluminio e della ceramica.
La regione del Monte San Giorgio offre anche lo spunto per ripercorrere la storia più recente legata alla Prima Guerra Mondiale. Sul Monte Orsa e sul Monte Pravello/Poncione d'Arzo permangono le tracce della Linea Cadorna: questa linea di fronte, lunga 160 km con postazioni di artiglieria e trincee, venne realizzata dagli italiani attorno al 1917 in vista di un possibile attacco nemico da Nord, e fu per fortuna mai utilizzata.
Un nuovo capitolo dell’archeologia della nostra regione è stato aperto da più di una decina d’anni da ARAM (Associazione Ricerche Archeologiche del Mendrisiotto) con la scoperta, a Tremona Castello, di resti di insediamenti umani che iniziano circa 5000 anni fa e continuano, ininterrottamente, fino al 1300 con i resti ben conservati di un villaggio rurale, composto da una cinquantina di edifici.