Immaginate una laguna con acque poco profonde ai margini di un vasto oceano. Pensate a isolotti e banchi di sabbia in un clima subtropicale. Il Monte San Giorgio di allora non era una montagna, ma il fondale di questo mare.
Le sue rocce racchiudono oggi un affascinante capitolo della storia della Terra, un valore eccezionale e universale riconosciuto dall’UNESCO nel 2003 per il lato svizzero e nel 2010 per il lato italiano.
Il sito UNESCO del Monte San Giorgio, situato tra Canton Ticino e Provincia di Varese, prende il nome dalla cima più elevata ma comprende anche i vicini monti Pravello e Orsa. Nelle loro caratteristiche rocce stratificate si riconoscono almeno sei livelli fossiliferi principali, caratterizzati da una differente associazione faunistica.
In circa due secoli di ricerche scientifiche, sono stati rinvenuti migliaia di fossili. Tra questi numerose specie sono rare o caratteristiche del sito, tanto che ad alcune sono stati attribuiti nomi che richiamano toponimi locali. I reperti appartengono a animali e vegetali vissuti circa 240 milioni di anni fa, momento corrispondente a metà del Triassico, il periodo più antico dell'era mesozoica.
Il nostro pianeta nel Triassico aveva un aspetto molto diverso da quello attuale: le terre emerse erano riunite in un unico immenso continente, il Pangea, abbracciato dal vasto oceano di Panthalassa.
Un lembo di questo oceano, detto Mare della Tetide, nel tempo si insinuò sempre più nel Pangea, creando una spaccatura che ne determinò la suddivisione in due grandi continenti: la Gondwana a sud e la Laurasia a nord.
La Tetide comprendeva due bacini, la Paleotetide e la Neotetide, separati dal continente Cimmeria, una striscia di terra formata da molte piccole placche.
La laguna del Monte San Giorgio si trovava al margine occidentale del Mare della Tetide, all’altezza del Tropico del nord, sulla costa settentrionale del continente africano.
In questo ambiente si era adattata una complessa e diversificata fauna marina che, nell'arco di 4-5 milioni di anni, trovò in quel tratto di mare condizioni di vita ideali per una rapida evoluzione.
Il vasto patrimonio paleontologico del Monte San Giorgio comprende decine di migliaia di reperti fossili: rettili marini, pesci, invertebrati e, più rari, rettili terrestri, insetti e piante trasportati in mare dalla vicina terraferma.
Le rocce sedimentarie che incontriamo visitando i luoghi del comprensorio si depositarono sul fondo di una laguna subtropicale, prossima alla terraferma e delimitata verso il mare aperto da isolotti, scogliere e banchi di sabbia.
Mentre le calde acque superficiali erano ben ossigenate e ricche di vita, quelle più profonde erano stagnanti, rendendo il fondale scarsamente ossigenato. Così animali e vegetali morti vi si adagiavano indisturbati e venivano coperti da fango e detriti.
Il rapido seppellimento e la composizione chimica dei sedimenti favorirono il rallentare della decomposizione e la successiva mineralizzazione dei resti.
La concomitanza di tutte queste condizioni favorevoli ha determinato la formazione di fossili, spesso completi e perfettamente conservati, che ci hanno restituito dettagli anatomici e informazioni sulla vita del passato stupefacenti.
Il Monte San Giorgio è situato nella parte occidentale della catena delle Alpi Meridionali.
Nella sua parte settentrionale affiora uno zoccolo cristallino formato da gneiss e rocce vulcaniche che risalgono alla fine dell'era paleozoica.
Proseguendo verso la cima del Monte e scendendo fino alla località di Meride si incontrano le successioni sedimentarie triassiche.
Procedendo verso Arzo, dunque a sud, affiorano sedimenti del Giurassico inferiore.
L'origine del Monte San Giorgio è parte del processo di orogenesi che ha portato, a partire da 95 milioni di anni fa, alla nascita delle Alpi, quando la placca africana e quella euroasiatica hanno iniziato a riavvicinarsi, comprimendo e sollevando i sedimenti nel mezzo.
L'innalzamento ha mantenuto inalterata la successione sedimentaria, seppur tagliandola con faglie ad andamento Nord-Sud.
I sedimenti si immergono con una inclinazione di circa 30° verso Sud per infine sprofondare sotto i depositi quaternari della Pianura Padana.